Quando era bambina, la mamma abitava con la sua numerosa famiglia a Codroipo, un paesino in provincia di Udine, sulla riva orientale del fiume Tagliamento. La nonna era casalinga, ma non si annoiava per niente, doveva infatti seguire la sua bella tribù di 6 figli, mentre il nonno faceva l'impiegato comunale, a quel tempo lavoro molto ambito e rispettato. Si erano divisi i compiti: la nonna gestiva l’economia famigliare e la casa, mentre al nonno spettava rimediare alle numerose marachelle che combinavano i 6 fratelli, non so chi dei due avesse il compito più gravoso!
A quei tempi il paese non era tanto grande, non c'erano i bei parchi che ci sono oggi e nemmeno i tanti ristoranti, c'era povertà e ci si riteneva fortunati ad avere un lavoro e una famiglia numerosa.
Quella è zona di risorgive, piccole sorgenti di acqua dolce che escono dal terreno e formano pozze più o meno grandi. Queste erano una calamita per i fratelli più grandi, che dopo la scuola vi andavano a giocare, una volta il nonno dovette andare a recuperare lo zio Walter che vi era caduto dentro e non voleva tornare a casa perché aveva paura di “prenderle”. Gli altri si limitavano a scorrazzare per i campi o si arrampicavano sugli alberi da frutta, cosa che provocava grandi strilli da parte dei contadini. Toccava ancora al nonno andare a calmare gli animi e sgridare i monelli.
In inverno nevicava spesso e la felicità di tutti era fare nel cortile di casa, un grande pupazzo di neve con uno dei tanti cappelli del nonno, preso di nascosto mentre lui dormiva.
Nella settimana che precedeva l'Epifania la nonna aveva l'abitudine di preparare un fantoccio della befana che metteva in bella vista al primo piano dove c'erano la sua camera da letto e il bagno. Con l'aiuto di alcuni rami e vecchie scope, dalle sue mani nasceva la famosa vecchina, gobba, col nasone, il mento appuntito e gli abiti vecchi e consumati, pieni di toppe. Sulle spalle appoggiava uno scialle e in testa metteva un cappellaccio nero. La sistemava seduta proprio vicino al bagno e in grembo le metteva una cesta piena di frutta secca.
I ragazzi dormivano al secondo piano e, durante la notte, avevano una gran paura di scendere per andare nell’unico bagno della casa, per non incontrare "la vecia". La nonna si divertiva un mondo, anzi mandava i più paurosi a prendere la frutta secca durante la cena e se la rideva vedendoli tornare di corsa con il fiatone, con poche noci tra le mani.
Poi finalmente arrivava la sera del 5 gennaio e tutti andavano in piazza a veder bruciare al "Pignarûl grant", il befanone, mentre gli anziani si raccontavano storie di antiche Epifanie.
La mattina del 6 gennaio, come d'incanto, la "vecia" spariva e con lei tutte le paure. Sul letto ogni fratello trovava una vecchia calza riempita con un po’di frutta secca, qualche arancio, uno o due pezzi di carbone della stufa della cucina e alcuni dolcetti. Il pranzo era abbondante e finiva sempre con la torta della Befana, un dolce che aveva inventato la nonna per usare tutta la frutta secca che girava per casa in quel periodo. Allora sì che la festa era completa!